Lo screening mammografico per il cancro al seno è un intervento di comprovata efficacia. Gli attuali protocolli italiani di screening invitano attivamente ogni due anni tutte le donne di età 50-69 anni. Inoltre, alcuni programmi hanno esteso la fascia di età di screening alle donne di 45-49 anni, con intervallo annuale, e di 70-74, con intervallo biennale. Maita è un trial multicentrico che riunisce la più ampia popolazione randomizzata per confrontare l’efficacia della tomosintesi mammaria digitale (Dbt) rispetto alla mammografia digitale (Dm) come test primario per lo screening del cancro della mammella.
Lo studio è stato condotto in stretto coordinamento con il processo di adolopment delle linee guida europee sullo screening del cancro al seno in Italia.
Paolo Giorgi Rossi, direttore del Servizio di epidemiologia e comunicazione del rischio dell’Ausl di Reggio Emilia, e Paola Armaroli, epidemiologa del Servizio di epidemiologia e screening del Centro di riferimento per l'epidemiologia e la prevenzione oncologica in Piemonte (Cpo - Piemonte), ci illustrano il disegno dello studio Maita, l’obiettivo principale, i risultati preliminari, i trial RETomo e Proteus Donna e le prospettive future dei programmi di screening del cancro della mammella.
1. Maita è un trial randomizzato sulla tomosintesi mammaria digitale come test primario per lo screening del cancro al seno. Qual è l’obiettivo principale dello studio in corso?
Paolo Giorgi Rossi: Maita, acronimo di MAmmography screening ITAlian, è un consorzio di trial italiani randomizzati sulla tomosintesi come screening primario del cancro alla mammella rivolto alle donne nella fascia di età 45-65 anni e include RETomo, Proteus, Impeto e i trial Maita condotti al policlinico San Donato di Milano e a Verona. L’obiettivo del progetto è stato di valutare, attraverso un grande studio randomizzato multicentrico, se l’aggiunta della Dbt (tomosintesi mammaria digitale) alla Dm (mammografia digitale) o 2D sintetica sia in grado di ridurre l’incidenza dei cancri intervallo e dei cancri avanzati (sia fra i cancri intervallo sia fra gli screen detected ai successivi round di screening) rispetto alla sola Dm. Al trial hanno partecipato l’Ausl-Irccs di Reggio Emilia (ente coordinatore del progetto), l’Irccs Policlinico San Donato di Milano, il Cpo-Piemonte, l’Aulss 9 Scaligera di Verona, l’Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona e l’Ispro Toscana.
Maita è quindi composto da tre trial nati indipendentemente (RETomo, Proteus e Impeto), in ognuno dei quali sono state reclutate le donne afferenti ai centri coinvolti nei rispettivi studi, e da una quota di donne reclutate direttamente all'interno del consorzio Maita. In ordine di inizio di reclutamento delle donne, RETomo è stato il primo studio a partire e a terminare il reclutamento (agosto 2017), a seguire Proteus che ha concluso il reclutamento a dicembre 2017, Impeto e infine i trial Maita di Verona e Milano che hanno terminato il reclutamento il 31 dicembre 2021 e che nasce soprattutto come un consorzio che mettesse insieme tutte le risorse degli studi in corso.
2. Maita dunque si può considerare la sintesi degli studi randomizzati italiani sulla tomosintesi mammaria digitale per lo screening del cancro al seno. Potreste illustrarci il razionale di questi studi e le differenze fra RETomo e Proteus?
Paola Armaroli: RETomo e Proteus sono studi simili nel loro disegno, cioè l'obiettivo di entrambi è valutare come test di screening primario per il cancro al seno la Dbt combinata con la Dm e confrontarla con la sola Dm. Sono due studi sperimentali dove le donne di 45-69 anni di età vengono assegnate in modo casuale (randomizzato) al braccio di intervento, in cui viene combinata la Dbt con la Dm, e al braccio di controllo in cui viene eseguita la sola Dm. La randomizzazione ha l'obiettivo di ridurre i confondenti. Entrambi gli studi sono partiti in un momento in cui l’evidenza disponibile dimostrava un aumento dell'identificazione di cancri da parte della Dbt, però erano limitati i dati sull’impatto di questo aumento di detection sull’incidenza dei cancro intervallo, cioè di quei cancri che si manifestano dopo un test di screening negativo e prima di un test successivo di screening, e che verranno identificati ai successivi round di screening. Il disegno dello studio quindi permette di misurare la detection al test di screening eseguito durante l’arruolamento delle donne nel braccio di intervento e in quello di controllo, cioè al baseline, l'incidenza dei cancri intervallo dopo un risultato negativo al test di screening, la detection al round successivo di screening e la detection cumulata, cioè la somma di queste tre detection (baseline, intervallo e secondo round). Questo permette di misurare l’andamento temporale dell’incidenza dei cancri intervallo e dei cancri avanzati e quindi valutare se c’è un'effettiva anticipazione diagnostica del cancro al seno o solo un aumento della sovradiagnosi. La caratteristica specifica dei due trial è che tutte le donne vengono invitate a eseguire una Dm al round successivo di screening.
Paolo Giorgi Rossi: un punto importante che mi fa piacere rimarcare è che non è un caso se tutti e tre i trial, che già erano partiti o in procinto di iniziare, finanziati con soldi pubblici regionali in quel momento avessero lo stesso disegno. Infatti, quando RETomo non aveva nemmeno iniziato il reclutamento, è stata organizzata una riunione a Reggio Emilia con tutti i principali gruppi di studio italiani che si occupano di screening, promossa dalle società scientifiche dell’Ons, per definire quali dovevano essere gli elementi fondamentali affinché uno studio del genere potesse dare le risposte che mancavano. Infatti, i principali studi precedenti avevano confrontato l’accuratezza della Dbt con quella della Dm sottoponendo le stesse donne ad entrambi i test contemporaneamente. Se però l’approfondimento diagnostico si basa sui risultati di entrambi i test, non è possibile distinguere quali effetti a valle si verificano per l'uno o per l'altro test e quindi valutare l'efficacia dello screening in termini di prognosi, ma si è in grado di valutare solo la perfomance del test in termini di accuratezza, cioè di sensibilità (se vede più cancri) e specificità (se richiama meno donne che non hanno un cancro). Il punto fondamentale è proprio questo, cioè che l’informazione mancante in questi studi è l’impatto sulla salute dei due test di screening, che si può conoscere solo con un trial randomizzato.
Sono stati dunque stabiliti il disegno di studio che ci sembrava ottimale per fare un trial randomizzato e, senza entrare nel dettaglio, e quali dovevano essere i punti fondamentali comuni a tutti gli studi. Gli studi infatti possono presentare delle differenze e peculiarità, ad esempio Firenze ha reclutato solo donne molto giovani perché era interessato a quella fascia di età. Con l'evoluzione tecnologica si è sostituita la doppia esposizione per ottenere un’immagine 3D e 2D nel braccio sperimentale con una sola esposizione da cui si ottiene un’immagine 3D e attraverso un’elaborazione al computer si ricava anche l'immagine sintetica 2D, in modo che il radiologo possa disporre di entrambe le immagini. Questa innovazione tecnologica ha rappresentato un elemento importante perché consente di dimezzare la dose di radiazioni ionizzanti che riceve la donna con la Dbt. Impeto e i trial Maita (Verona e Milano) hanno utilizzato la 2D sintetica al contrario di RETomo e Proteus che non disponevano di questa tecnologia. Queste piccole differenze però non cambiano il disegno del trial perché gli elementi fondamentali dei tre studi sono stati decisi con le società scientifiche prima di iniziare.
3. Quali sono stati i punti di forza e le criticità di questi studi?
Paolo Giorgi Rossi: forse la difficoltà maggiore è stata nel timing. Da una parte, purtroppo, non è stato possibile reclutare le donne in maniera più concentrata nel tempo, per cui il reclutamento ha coperto un periodo di 6,5 anni (dal 2014 al 2021), conseguentemente i risultati verranno raccolti con un certo ritardo, dall’altra parte il ritardo nella partenza del reclutamento da parte dei centri di Firenze, Milano e Verona ha permesso di avere una parte consistente di donne reclutate (circa 15,000) che sono state screenate con la 2D sintetica. Questo è un punto di forza perché se si dimostrasse che quello che si ottiene con la doppia esposizione è uguale a quello che si ottiene con una sola esposizione, sarebbe possibile trasferire i risultati di RETomo e Proteus alla 2D sintetica. Questo rappresenterebbe un ottimo bridging, cioè il trasferimento delle evidenze raccolte in un contesto a un altro contesto. Firenze, Verona e Milano avrebbero questo ruolo di bridging delle evidenze raccolte con la doppia esposizione alla 2D sintetica, infatti attualmente non si sono rilevate differenze importanti nella detection e nel recall rate.
Paola Armaroli: i due trial RETomo e Proteus sono stati condotti in modo autonomo in ciascuna regione, ad esempio in Piemonte sono stati coinvolti 6 centri di screening di quasi tutto il territorio regionale, 13 ospedali e 38 radiologi e sono state arruolate più di 70,000 donne. Questi sono senz’altro punti di forza così come l’aggregazione dei dati degli altri studi che ci permetterà di ampliare la popolazione randomizzata e avere risultati più consolidati. D’altra parte la variabilità tra i vari centri, Paolo accennava appunto alle differenti fasce di età a Firenze, e la riproducibilità dell'attività dei radiologi rappresentano degli elementi di criticità. Questi fattori andranno considerati per meglio indirizzare la formazione degli operatori di screening, soprattutto nel momento in cui si dovesse introdurre la Dbt come test di screening primario. Inoltre, sono studi che richiedono del tempo nella raccolta dei dati anche per l’alta numerosità delle donne arruolate, ne consegue una difficoltà oggettiva nell’ottenere e analizzare i risultati in modo tempestivo.
4. Potreste descriverci i risultati finali di RETomo e Proteus?
Paolo Giorgi Rossi: per quanto riguarda RETomo, il trial conferma che la Dbt in aggiunta alla Dm aumenta la detection, cioè trova più cancri. Purtroppo dopo aver trovato più cancri non diminuiscono i cancri intervallo, per cui sicuramente tra i cancri in più che ha individuato la Dbt non ci sono quelli che generalmente sfuggono alla Dm, cioè cancri a crescita sufficientemente veloce da mostrare sintomi nei due anni successivi. Inoltre, diminuisce la detection al round successivo, ma non in maniera sufficiente da compensare tutto il guadagno di detection che si è avuto al primo round. Se si confrontano i dati del braccio convenzionale e del braccio sperimentale alla fine di quasi tre anni di follow up, si rilevano ancora parecchi cancri in più nel braccio sperimentale. Questi cancri potrebbero essere a crescita abbastanza lenta da non essere rilevati fra gli screen detected neanche al round successivo, ma verrebbero comunque identificati negli anni successivi, per cui la differenza nei cancri trovati nel braccio sperimentale e in quello di controllo dovrebbe assottigliarsi, oppure potrebbero essere cancri sovradiagnosticati che non avrebbero dato sintomi e probabilmente non sarebbero stati individuati neanche alla Dm. Aggiungerei che RETomo permette di verificare se la sovradiagnosi di cancri indolenti con Dbt+Dm sia maggiore rispetto a quello che avviene con la Dm ma non consente di stimare la sovradiagnosi assoluta perché sarebbe necessario studiare un gruppo di donne non screenate, cosa che non è assolutamente accettabile. Guardando i dati di RETomo le cose sembrano andare un po’ meglio, cioè la differenza nel numero di cancri individuati si riduce di più nelle donne giovani e nelle donne con seno denso, però i numeri sono molto piccoli e soggetti a variazioni casuali e vanno quindi interpretati con prudenza.
Paola Armaroli: per quanto riguarda Proteus, i risultati sono simili a quelli di RETomo, quindi c'è un aumento significativo della detection al baseline con un aumento sia degli cancri invasivi sia di quelli in situ e dei benigni e un aumento dei recall (richiami per ulteriori approfondimenti). Inoltre, sono state condotte delle analisi sulle caratteristiche dei cancri nei due bracci per verificare se le due popolazioni di cancri differiscono per fattori prognostici, questi aspetti verranno consolidati ai round successivi, probabilmente al terzo. Come diceva Paolo, non risulta una riduzione dei cancri intervallo, mentre diminuisce la detection anche se in modo non statisticamente significativo nei successivi episodi di screening, con una riduzione dei casi più avanzati. Proteus ha mostrato una riduzione più importante nelle donne con più di 50 anni a differenza di RETomo, anche se dalla détection cumulata risulta ancora un valore superiore nel braccio sperimentale rispetto al braccio convenzionale. Tuttavia, valutando l'andamento nel tempo, in Proteus c’è una maggiore tendenza delle curve a incontrarsi nel periodo di follow up dello studio soprattutto per le donne sopra i 50 anni di età al momento dell’arruolamento, con una riduzione della differenza in numero assoluto di cancri nel braccio sperimentale. Saranno fondamentali i dati al terzo episodio di screening, cioè allungando il tempo di follow up, così come previsto dal protocollo di Maita: si potrà infatti verificare se è presente un’effettiva anticipazione diagnostica o se invece si è di fronte a una maggiore diagnosi di cancri a lenta crescita che probabilmente rimarrebbero indolenti e sarebbero quindi più associabili a una sovradiagnosi. È importante continuare l'osservazione per capire quale dei due fenomeni sia maggiormente presente.
5. Dai risultati preliminari dello studio, quali conclusioni si possono trarre per quanto riguarda la detection, il tasso di richiamo, il numero di falsi positivi e la sovradiagnosi?
Paolo Giorgi Rossi: i dati sulla detection sono abbastanza omogenei in tutti i centri, cioè si evidenzia un aumento del tasso d’identificazione, mentre il recall rate presenta una certa variabilità. Alcuni centri, come Verona, Reggio Emilia e Milano, infatti mostrano un recall identico nei due bracci, altri invece un leggero aumento nel braccio sperimentale (dal 5 al 6%). Inoltre, aumentando la detection il numero di falsi positivi diminuisce o aumenta di poco; la diminuzione dei falsi positivi si riscontra a Reggio Emilia e a Verona ma non a Torino, Milano e Firenze. Questa variabilità era prevedibile, infatti, mentre l’aumento della detection è stato riscontrato in tutti i trial a livello mondiale, tranne in uno studio norvegese, il tasso di richiamo dipende molto dalle abitudini e dalla scuola di lettura dei radiologi ed è quindi contesto dipendente. In generale in Europa il numero di falsi positivi rimane stabile o aumenta di poco introducendo la Dbt. Negli Usa invece il tasso di richiamo diminuisce di molto passando dalla Dm alla Dbt, considerando però che il loro recall rate con la Dm è il 7-10% circa. In Italia partiamo da un tasso di richiamo del 3-5%, quindi, quando è già così ottimizzato, è più facile che una novità tecnologica come la Dtm possa tendere a farlo aumentare piuttosto che a farlo diminuire. La differenza nel recall rate riscontrata in tutti i centri era un dato atteso, in alcuni radiologi infatti le distorsioni parenchimali o le microcalcificazioni visibili a un’immagine 3D possono indurre a richiamare di più, in altri radiologi invece queste modificazioni hanno meno impatto. Una componente di soggettività è inevitabile. Uno dei meccanismi con cui si riduce molto il tasso di richiamo è il confronto con i precedenti esami, chiaramente se una donna è stata sottoposta per la prima volta a una Dbt il radiologo non dispone di un precedente esame con cui confrontare l’immagine 3D, e quindi non è in grado di verificare se ciò che mostra l’immagine 3D è rimasto immutato o è veramente qualcosa di nuovo.
Paola Armaroli: anche in Proteus è stata osservata una variabilità importante, con un aumento dei recall più elevato rispetto a RETomo. Nonostante i radiologi avessero seguito un corso di formazione specifico sulla Dbt prima di iniziare il trial, la variabilità osservata è molto importante.
Se da un lato al baseline si è riscontrato un importante aumento dei richiami, più elevato rispetto ad altri trial, con molte donne richiamate per fare un approfondimento di secondo livello che non ha individuato nessuna lesione, dall’altro lato questo aumento di recall si è tradotto in un importante aumento della detection che permetterà di comprendere le conseguenze a lungo tempo di questo aumento dei richiami. Riassumendo, confrontando il braccio sperimentale con quello tradizionale è presente un aumento dei falsi positivi con un aumento delle lesioni individuate e una moderata sovradiagnosi, ma alla fine del periodo di osservazione, cioè al terzo episodio, si potrebbe dimostrare che questo aumento di recall è associato a un aumento di detection di lesioni più piccole che verrebbero individuate negli anni successivi, e rappresenterebbe quindi un’anticipazione diagnostica. Rispetto al discorso della sovradiagnosi, attualmente non si è in grado di distinguere le lesioni che potranno evolvere da quelle che invece sarebbero rimaste silenti o che non avrebbero determinato la morte della donna, quindi tutte quelle diagnosticate vengono trattate, con il conseguente problema del sovratrattamento. Sono in corso degli studi su alcune caratteristiche specifiche delle donne e su dei biomarcatori che potrebbero predire quali lesioni sono maggiormente in grado di progredire rispetto a quelle che non lo sono, in modo tale da ridurre l'impatto della sovradiagnosi e modulare le terapie.
Paolo Giorgi Rossi: sul tema dei biomarcatori, che accennava Paola, vorrei fare una considerazione. Credo che disporre di molecole che possano discriminare quali lesioni debbano o meno essere trattate sia un obiettivo difficilmente raggiungibile, nel senso che non solo bisognerebbe disporre di questi biomarcatori ma sarebbe necessario averne una conoscenza e una dimestichezza tale da convincere clinici e donne che quella lesione non richiede un trattamento, una decisione non facile di fronte a una malattia che ha un portato emotivo enorme. In ogni caso, un tale cambiamento radicale nell’approccio terapeutico non avverrebbe in tempi brevi. È invece già in atto un cambiamento graduale, cioè ormai molte donne con tumori detected non vengono sottoposte a nessuna chemioterapia. Il descaling dei trattamenti (la riduzione dei trattamenti non necessari) e la target therapy sono due fattori che hanno ridotto notevolmente gli effetti collaterali del trattamento, inoltre si sta consolidando la tendenza a una minore invasività chirurgica e a un utilizzo più mirato della radioterapia. Questo significa che se la probabilità di recidiva del cancro a 10 anni è molto bassa (attualmente molte linee guida suggeriscono fra il 2 e 5%) e si dispone di biomarcatori che definiscano in modo sufficientemente preciso questa probabilità, i benefici della chemioterapia presumibilmente non supererebbero gli effetti indesiderati che ne conseguono. Il descaling, quindi, è un modello che va inteso non come un “on/off” per cui un biomarcatore è in grado di predire con certezza se quella lesione è da trattare o meno, ma come la ricerca di indicatori di lesioni a bassissima probabilità di recidiva che richiedono un trattamento minimale di tipo chirurgico e di ormonoterapia ma senza necessità di chemioterapia.
6. Secondo voi quali sono le prospettive future dei programmi di screening del cancro al seno, in riferimento soprattutto alle potenzialità dei protocolli di screening personalizzato con stratificazione sulla base del rischio individuale?
Paola Armaroli: un elemento che può contribuire alla riduzione della sovradiagnosi e in generale all’intensità dello screening è la stratificazione sulla base del rischio individuale. Paolo è coinvolto in uno studio sullo screening per il tumore della mammella proprio su questo aspetto.
Paolo Giorgi Rossi: lo studio che stiamo conducendo in collaborazione con altri partner internazionali si chiama MyPeBS (My Personal Breast Screening) e ha l’obiettivo principale di confrontare due strategie di screening: quella standard definita a “taglia unica”, che si basa sull’età come unica strategia di invito ed è il protocollo attuale, e quella “su misura”, che consiste in uno screening personalizzato con stratificazione sulla base del rischio individuale. La stratificazione del rischio individuale adottata in MyPeBS si basa sulla storia medica personale e famigliare, la densità del seno e l’analisi genetica di 313 polimorfismi del Dna di un campione di saliva. Questi polimorfismi presi nel loro insieme possono definire uno score di rischio con un’ottima capacità discriminatoria nel predire il rischio di una donna di sviluppare un tumore a 5 anni. Questo significa che, aggiungendo alle informazioni anamnestiche e di densità mammaria anche l’analisi dei polimorfismi, è possibile classificare nel gruppo di donne a bassissimo rischio, cioè al di sotto dell’1% a 5anni, molte più donne di quante se ne potrebbero individuare utilizzando solo le informazioni anamnestiche e la densità. Questa maggiore discriminazione permette di identificare le donne con un rischio molto basso, pari a quello di una donna di 40 anni per la quale non è raccomandato uno screening di popolazione, alle quali suggeriamo un intervallo di screening a 4 anni. Nelle donne che hanno un rischio più elevato ed è presente anche una densità mammaria elevata si aggiunge l'ecografia. Inoltre, una maggiore discriminazione permette anche di identificare un gruppo di donne con un rischio molto alto, cioè maggiore del 6% a 5 anni, alle quali proponiamo la risonanza magnetica nucleare. La soglia del 6% è il limite inferiore per cui già ci sono delle raccomandazioni a utilizzare la risonanza magnetica nucleare ed equivale al rischio di una donna con la mutazione BRCA2.
Paola Armaroli: l’obiettivo è mettere a punto protocolli mirati per categorie di donne. La stratificazione del rischio permetterebbe da un lato di proporre lo screening con intervalli ravvicinati alle donne con profili di rischio più elevato, e dall’altro ridurre i controlli per quelle con profili di rischio inferiore rispetto alla popolazione generale.
7. Per concludere, i primi risultati di Maita confermano i dati degli studi precedenti e quando verranno pubblicati?
Paolo Giorgi Rossi: dalle prime analisi pooled, i dati di Maita sono coerenti con quelli noti della letteratura nazionale e internazionale e confermano i risultati al baseline di RETomo e Proteus. I dati del secondo round in un setting randomizzato rappresentano invece una novità importante, anche se purtroppo i dati aggregati non sono discriminanti. Infatti, mentre il dato sui cancri intervallo che non diminuiscono al primo round è un risultato decisamente negativo, il dato che al secondo round i cancri screen detected diminuiscano ma non abbastanza di fatto procrastina una valutazione finale sull’efficacia della Dbt, cioè se con la Dbt si possa ottenere un’utile anticipazione diagnostica e una ridotta sovradiagnosi. I risultati che ne stanno derivando sono molto importanti ma non dirimenti e quindi saranno necessari almeno altri due anni di follow up per ottenere dati che ci aiutino a dirimere la questione. Rispetto alla raccomandazione delle linee guida europee e statunitensi di potere utilizzare la Dbt nello screening del cancro al seno, consiglierei un’estrema cautela, giustificata anche dal fatto che Maita non solo fornisce dati sull’efficacia della metodica ma anche sull’impatto organizzativo ed economico dei programmi di screening. Un’introduzione della Dbt infatti aumenterebbe più del 20% il costo totale degli screening, che è una percentuale importante. È da valutare un uso della Dbt su gruppi selezionati di donne che potrebbero trarre maggiori benefici e che sarebbe più sostenibile dal punto di vista delle risorse, ma quest’aspetto necessità di ulteriori studi. Ritengo che in Italia la raccomandazione che suggerisce di potere eseguire entrambe le metodiche rimarrà sempre “conditional”, nella consapevolezza che l’assorbimento delle risorse economiche e umane è significativo, a fronte di benefici abbastanza simili a quelli che si ottengono con la Dm, almeno sulla base dei dati attuali. Non dimentichiamo che la Dm è la tecnologia che ha permesso di ottenere i benefici dello screening osservati fino a ora e che hanno portato le linee guida europee a dare una raccomandazione “strong” a favore dello screening fra i 50-69 anni di età e “conditional” ma sempre a favore dello screening fra i 45-49 anni e i 70-74 anni.
Paola Armaroli: con il follow up avremo informazioni più precise e più significative, soprattutto se riusciremo a ottenere e analizzare i dati di tutti i centri insieme.
Paolo Giorgi Rossi: per quanto riguarda i dati, a breve verranno pubblicati quelli al baseline per tutti e cinque i centri con 114,000 donne reclutate. Fra due anni dovremmo avere i dati del follow up a 4,5 anni, cioè quelli al terzo round.
Per approfondire:
- l’articolo su Radiology A Randomized Trial Comparing Breast Cancer Incidence and Interval Cancers after Tomosynthesis Plus Mammography versus Mammography Alone di Pierpaolo Pattacini, Andrea Nitrosi, Paolo Giorgi Rossi et al.
- l’articolo su The International Journal of Cancer A randomised controlled trial of digital breast tomosynthesis vs digital mammography as primary screening tests: Screening results over subsequent episodes of the Proteus Donna study di Paola Armaroli, Alfonso Frigerio, Loredana Correale et al.
- la news Cancro della mammella: Dbt più Dm sul sito dell’Ons
- la news Adolopment delle LG europee sul sito dell’Ons.
30 gennaio 2023