Di Livia Giordano, Gisma
Diversi fra i quesiti in cui si articolano le nuove Raccomandazioni europee per lo screening mammografico sono dedicati alla comunicazione.
Consultabili sul sito dell’European Commission Initiative on Breast Cancer, le Linee guida sono il frutto di una selezione compiuta dal gruppo multidisciplinare di esperti insieme a rappresentanti di pazienti, con l’obiettivo di coprire ad ampio raggio gli aspetti prioritari del processo comunicativo dei programmi di screening per il tumore al seno.
In particolare, le nuove Raccomandazioni si rivolgono alle donne fra i 50 e i 69 anni con rischio medio di sviluppare un tumore al seno in cui lo screening mammografico è fortemente raccomandato, e si esprimono su tre questioni principali, a loro volta articolate in maniera più specifica:
- Qual è la strategia ottimale per invitare le donne ai programmi di screening mammografico organizzato?
Il gruppo ha dato una raccomandazione forte a favore dell’utilizzo di una lettera di invito di partecipare a programmi di screening organizzati basati sulla popolazione. Per quanto riguarda le caratteristiche della lettera, la raccomandazione è “a condizione” e suggerisce di utilizzare una lettera con la firma di un medico generico, con un appuntamento prefissato, che sia seguita da un promemoria telefonico o scritto.
Il gruppo ha espresso, infine, una raccomandazione “a condizione” contro l’utilizzo di una lettera accompagnata da un intervento face-to-face, fra la donna e lo staff medico durante la fase di invito.
- Che tipo di comunicazione dovrebbe essere usata con le donne in condizione di vulnerabilità per incrementare la loro partecipazione ai programmi di screening?
Sono state individuate tre forme di vulnerabilità che possono in vari modi influenzare la partecipazione delle donne ai programmi di screening. Il gruppo si è riferito, in particolare, allo svantaggio sociale, alla disabilità intellettiva e alla barriera linguistica per le donne non native.
Per quanto riguarda lo svantaggio sociale si sono comparati interventi di tipo generale, cioè l’intervento informativo comune per tutte le donne nella fascia d’età 50-69, con interventi comunicativi “target”, cioè rivolti a segmenti di popolazione accomunati da determinate caratteristiche, e interventi “tailored”, indirizzati alla donna in base alle proprie caratteristiche personali più specifiche. Le raccomandazioni che ne sono seguite sono “a condizione” in favore di un intervento target piuttosto che generale, contraria a un intervento tailored piuttosto che generale, e per entrambi gli interventi fra target e tailored.
Per quanto riguarda la disabilità intellettiva e le donne non native, il gruppo dell’ECIBC ha espresso due raccomandazioni “a condizione” a favore di una comunicazione targettizzata piuttosto che generale.
- Bisognerebbe usare uno strumento di decision aid per informare le donne sui danni e i benefici di uno screening mammografico?
La raccomandazione si esprime “a condizione” a favore dell’uso di strumenti di supporto alla decisione che spieghino rischi e benefici piuttosto delle sole informazioni contenute nella lettera di invito comune.
La forza delle raccomandazioni e nuovi stimoli
L’unica raccomandazione forte e a favore di un intervento è quella che suggerisce di utilizzare una lettera di invito per le donne fra i 50 e i 69 anni. Tutte le altre decisioni sono “a condizione”: è necessario cioè che per la loro applicazione vengano tenute in conto le condizioni locali a livello sociale e organizzativo, le risorse, e le preferenze individuali.
Come è successo già per alcune delle indicazioni sull’età di adesione e l’intervallo fra una mammografia e l’altra, non è stato possibile dare raccomandazioni forti dovendo basare la decisione su una letteratura scarna in termini di numerosità degli studi e, in questo caso, della loro robustezza. Molti degli studi comparativi sull’efficacia degli strumenti comunicativi nello screening, infatti, sono studi americani difficilmente calabili nel contesto sociale e sanitario europeo. Gli altri studi disponibili presentano un apparato metodologico non condiviso da tutti i membri del gruppo ECIBC o sono studi indiretti.
Certamente, il fatto che la comunicazione sia entrata all’interno delle Raccomandazioni europee strutturata secondo lo stesso framework su cui si sono modulati gli altri aspetti dello screening mammografico a livello scientifico, clinico e organizzativo, dà due indicazioni importanti.
Da una parte, è un riconoscimento del ruolo che la comunicazione svolge all’interno dei programmi di screening. C’era probabilmente da aspettarsi questa attenzione specifica agli aspetti comunicativi alla luce delle indicazioni contenute nella Risoluzione del Consiglio europeo e nelle precedenti Linee guida per il tumore mammario che, a seguito delle polemiche sul bilanciamento fra danni e benefici e la controversia sulla sovradiagnosi, suggerivano di continuare con i programmi di screening mammografico purché la comunicazione fosse trasparente e la partecipazione realmente consapevole. Per la prima volta, tuttavia, con l’inserimento della comunicazione nel framework PICO ne vengono definiti gli aspetti prioritari e i criteri in base ai quali ripensare la comunicazione in maniera integrata e non ancillare rispetto all’organizzazione dei programmi.
Dall’altra, la rigidità del framework PICO, che si basa sulla revisione sistematica della letteratura nobile che può essere correlata da strumenti come il parere di esperti, ha aiutato a sistematizzare il discorso e a porre una cornice su cui strutturare la ricerca sulla comunicazione nello screening. È vero che una sistematizzazione troppo rigida può risultare imperfetta riferendosi alla comunicazione, le cui analisi oscillano fra strumenti quantitativi e qualitativi e la definizione stessa degli outcome considerati si è riferita ad aspetti diversi, dalla consapevolezza alla partecipazione al gradimento. Tuttavia, conviene sottolineare che uno dei punti di forza in queste raccomandazioni è stato fornire dei parametri su cui implementare la ricerca.
Nel caso della raccomandazione sul decision aid, che è “a condizione” rispetto alle risorse economiche e al contesto, sarebbero da approfondire le valutazioni sulle risorse e sui tipi di strumenti di supporto alla decisione più efficaci per sottogruppo di popolazione, per forma e contenuti. Pensiamo alla situazione italiana, analisi di questo tipo si innestano in un rapporto complesso fra sanità e popolazione target e nel noto equilibrio fra fiducia e bisogno di informarsi. Probabilmente, nelle forme attuali, quello del decision aidè uno strumento ancora complesso, anche se facilmente riproducibile e distribuibile, che dovrebbe stimolare un approccio educativo nella popolazione rispetto allo strumento stesso prima ancora che ai suoi contenuti. Tuttavia, mette in luce la necessità di continuare a lavorare per la costruzione di processi comunicativi standardizzati, multilivello e accessibili per le donne di diverse fasce della popolazione che volessero ottenere tali informazioni.
Un altro stimolo importante è quello che deriva dalla raccomandazione sulle fasce di popolazione in condizione di vulnerabilità. In generale, tali linee guida mettono in evidenza la necessità di pensare la popolazione come insieme eterogeneo che richiede strategie specifiche, in cui la definizione di un target è stata ritenuta più efficace della comunicazione personalizzata, che presenta notevoli ostacoli a livello di costi e di accessibilità informazioni. In Italia si stanno già facendo passi in questa direzione con dei progetti che lavorano alla comunicazione rivolta a sottogruppi specifici, come mostrano le nuove raccomandazioni è importante implementare questi interventi che aumentano l’equità, sono più accettati dalle donne e dai providers, ponendo particolare attenzione a non creare stigmatizzazioni accentuando le distinzioni considerate e monitorando in maniera trasparente e costante il processo informativo.