Paolo Giorgi Rossi, direttore del Servizio Interaziendale di Epidemiologia e Comunicazione del rischio della AUSL di Reggio Emilia
“La vaccinazione contro il papillomavirus umano (Hpv) ha un potenziale eccezionale di riduzione dell'incidenza del cancro cervicale nel lungo termine. Tuttavia, coorti più anziane di donne che non hanno potuto beneficiare della vaccinazione dipenderanno ancora dallo screening nel prossimo futuro. L’età raccomandata per fermare lo screening del cancro cervicale generalmente va dai 50 ai 70 anni in tutto il mondo. Tuttavia, gli enti che emanano le raccomandazioni sugli screening hanno riconosciuto che l'età consigliata per l'ultimo screening è basata su prove di scarsa qualità rispetto all'efficacia dello screening in donne più anziane.”
Si apre con questa considerazione l’articolo di Talia Malagon e colleghi pubblicato a novembre su The Lancet Oncology - “Age at last screening and remaining lifetime risk of cervical cancer in older, unvaccinated, HPV-negative women: a modelling study”. Lo studio propone un modello matematico basato sui registri provinciali canadesi e sui dati di sopravvivenza, e considera la transizione dello stato sulla storia naturale del cancro cervicale e lo screening. Alla luce dei risultati ottenuti, gli autori suggeriscono che in uno screening con l’Hpv test lo screening potrebbe essere interrotto a 55 anni dopo un test negativo avendo una protezione molto maggiore di uno screening con Pap test in cui l’ultimo test negativo è stato fatto a 70.
Con l'introduzione del test Hpv nello screening della cervice uterina, ci si è concentrati molto sull'età in cui iniziare screening ma nessuna linea guida ha affrontato il problema di quando smettere, cioè l’età a cui fare l’ultimo test. Tuttavia, l'introduzione di un esame con una sensibilità maggiore e un più lungo lead time (di quanto tempo si anticipa la diagnosi) dovrebbe comportare un’anticipazione dell’età a cui fare l’ultimo test nella vita, età che ora in Italia è fissata a 64 anni.
Ci sono dunque molteplici aspetti su cui riflettere: quali sono le metodologie che sarebbe auspicabile introdurre negli studi sugli screening e per la definizione di linee guida? Come determinare un valore soglia considerato accettabile in questa popolazione di pazienti? In Europa e Italia c’è un terreno favorevole per aprire un dibattito sull’abbassamento dell’età a cui sottoporre le donne all’ultimo Hpv test di screening?
Modelli e framework
Nonostante alcuni limiti intrinseci, relativi alle scelte sulla struttura del modello, lo studio canadese fa un buon utilizzo delle conoscenze attuali con un buon equilibrio fra semplicità e accuratezza del modello stesso, e offre delle risposte che non è possibile ottenere ricorrendo alla metodologia generalmente utilizzata negli studi sull’efficacia degli interventi, quella dei clinical trials. Questi ultimi, confrontando due opzioni fra loro, sono estremamente inefficienti, se non inutili, nel definire una soglia in un continuum: In altri termini, un trial clinico prevede il confronto fra l’opzione di pazienti sottoposto a screening e il braccio di controllo. In questo modo la domanda “qual è l'età migliore per interrompere lo screening? " andrebbe declinata in “vale o no la pena sottoporre a screening le donne in una certa fascia d’età?” moltiplicando questa domanda per ciascuna fascia di età crescente, senza che questo permetta di ottenere evidenze sperimentali poiché i numeri sarebbero sempre troppo piccoli. Considerando che i risultati di questi studi impossibili si avrebbero dopo più di 15 anni, è chiaro che abbiamo bisogno di qualcos’altro per decidere: dei modelli matematici che ci diano delle proiezioni attendibili su ciò che succederebbe in diversi scenari, alla luce delle migliori conoscenze attuali sulla storia naturale della malattia, sull’accuratezza dei test e l’efficacia dello screening.
Se è vero che abbiamo bisogno di usare bene i modelli per rispondere a queste domande è anche vero che quando andiamo a costruire le linee guida attualmente non abbiamo un framework concettuale idoneo. Il quadro di interpretazione e “traduzione” delle evidenze in decisioni attualmente in uso, il PICO (Patient intervention comparised outcome), riproduce in astratto il disegno sperimentale del trial ed è idoneo a costruire linee guida sull’opportunità o meno di un trattamento, di effettuare programmi di screening organizzato, o sulla scelta fra test Hpv e Pap test, ma se si vuole prendere delle decisioni rispetto a domande fondamentali in interventi di sanità pubblica, come appunto a quale età interrompere il test, bisogna costruire strumenti più flessibili che si adattino a metodologie diverse, come i modelli matematici, e siano in grado di valutarne qualità, validità e incertezza portandoci a prendere le decisioni migliori.
Aprire un dibattito
Probabilmente, Europa e Italia non rappresentano in questo momento un terreno particolarmente fertile per discutere dell’opportunità di interrompere il test Hpv a un’età inferiore rispetto a quella attualmente prevista. La soglia dei 64 anni, infatti, se può essere considerata elevata come valore limite per il test Hpv è probabilmente troppo bassa per quanto riguarda il Pap test. Molti indizi e alcuni studi mostrano un aumento nell’incidenza dei tumori alla cervice dopo i 70 anni in donne regolarmente sottoposte a screening con Pap test fino ai 64 e i risultati dei modelli presentati da Talia Malagon sono in linea.
Benché, dunque ci potrebbero essere tutti gli elementi per discutere un abbassamento dell’età per l’Hpv test, scontiamo il peccato di aver trattato con sufficienza la definizione del valore dell’età limite per lo screening con Pap test.
È compito della comunità scientifica approfondire gli studi in questo senso, elaborare modelli matematici basati su dati attendibili e costruire framework concettuali che siano in grado di valutarne i risultati al meglio. D’altra parte, la definizione dell’età a cui interrompere lo screening in un intervento di sanità pubblica, comporta la definizione di una soglia di rischio che si reputa accettabile rispetto alle risorse che dovremmo impegnare per abbassarla ulteriormente, ciò rientra in una scelta politica, che include, oltre a elementi tecnici, degli aspetti valoriali. Per questo non può essere un appannaggio esclusivo della comunità scientifica, ma deve essere assunta dalla società con le sue rappresentanze più partecipative, esplicitando in modo trasparente i dati e i valori che informano la scelta.