Una meta-analisi pubblicata ad agosto 2023 sulla rivista JAMA Internal Medicine ha sollevato dubbi sull'efficacia degli screening oncologici. L’articolo Estimated Lifetime Gained With Cancer Screening Tests. A Meta-Analysis of Randomized Clinical Trials, scritto da Michael Bretthauer altri autori, “contesta” il metodo di studio finora in uso per valutare l’efficacia dei programmi di screening (mammografia per il cancro al seno; colonscopia, sigmoidoscopia o Sof per il cancro al colonretto; Tac per il cancro ai polmoni; Psa per il cancro alla prostata).
Marco Zappa, medico epidemiologo, propone una riflessione sulla tesi enunciata nella meta-analisi degli autori dell’articolo e sulla validità dei trial clinici che misurano l’efficacia degli screening oncologici.
Può sintetizzarci le conclusioni dello studio di Michael Bretthauer e degli altri autori?
Intanto, premetterei che gli effetti degli screening oncologici si valutano con trial clinici randomizzati (RCT - Randomized Clinical Trial) attraverso un’analisi definita intention to treat, che significa analizzare i dati di tutti i pazienti sulla base della loro assegnazione iniziale, e a volte anche utilizzando studi osservazionali. Allo stato attuale per studiare l’efficacia di un programma di screening vengono misuratigli anni di vita guadagnati (EBM), cioè uno studio deve essere in grado di valutare se l’esecuzione di uno specifico screening conduce a un’effettiva riduzione di mortalità o di incidenza causa specifica, cioè della malattia oggetto dello studio. Questo approccio è stato “contestato” da un articolo pubblicato ad agosto 2023 sulla rivista Jama Internal Medicine, intitolato “Estimated Lifetime Gained With Cancer Screening Tests. A Meta-Analysis of Randomized Clinical Trials” di Bretthauer M, et al. Secondo gli autori dell’articolo questo metodo di studio è errato perché l’efficacia di uno screening oncologico (EBM) andrebbe valutata non sulla mortalità causa specifica ma su quella generale, cioè per tutte le cause. Basandosi sui RCT inclusi nella meta-analisi gli autori giungono alla conclusione che la rettosigmoidoscopia sia l'unico test di screening, fra quelli inclusi nei programmi di screening oncologico,a mostrare una riduzione di mortalità per tutte le cause, mentre gli altri o non dimostrano alcuna riduzione o se c’è risulta statisticamente non significativa.
Lei come valuta queste considerazioni?
Sebbene un risultato di questo tipo possa lasciarci sorpresi, ritengo che sia meritevole di una riflessione. Infatti, nel caso degli screening oncologici valutare l’efficacia degli stessi basandosi sulla mortalità per tutte le cause invece che sulla mortalità specifica permetterebbe di superare potenziali distorsioni (bias) nella codifica delle cause di morte. Infatti, l’attribuzione della causa di morte potrebbe essere influenzata dal fatto che il tumore è stato individuato allo screening. Da questa circostanza possono derivare due bias opposti. Facciamo alcuni esempi: la morte per altra causa di una donna anziana con un tumore individuato allo screening potrebbe essere erroneamente attribuito al tumore della mammella. Questo si chiama lo sticky bias (pregiudizio appiccicoso). All’opposto, il decesso di un paziente dovuto a interventi diagnostici o terapeutici conseguenti alla individuazione del tumore avvenuta allo screening potrebbe non essere attribuito alla causa specifica (il tumore), ma ad altra causa. Questo si chiama slippery bias (pregiudizio scivoloso). Quest’ultimo bias assume una particolare importanza in caso di sovradiagnosi (fenomeno che come sappiamo esiste sia nello screening mammografico sia in quello prostatico). Infatti in questa situazione potremmo avere casi di morte conseguenti agli effetti collaterali del trattamento (radioterapia o chemioterapia) di un tumore che, senza lo screening, non sarebbe comparso. Le valutazioni che fanno gli autori dell’articolo rappresentano effettivamente dei rischi potenziali, ma questi bias sono già all'attenzione dei ricercatori che studiano l’efficacia dei programmi di screening. Tanto è vero che in tutti i trial clinici viene costituito un comitato indipendente per la definizione delle cause di morte in modo da ridurre i rischi di distorsione da parte degli studiosi nell’attribuzione delle cause di morte.
Quali sono le variabili più controverse della metanalisi pubblicata sulla rivista “Jama Internal Medicine”?
La criticità principale riguarda la dimensione del campione e i tempi di valutazione. Facendo un esempio concreto e premettendo che in ogni trial sull’efficacia di uno screening oncologico il rischio della popolazione screenata di morire della malattia oggetto dello studio è basso (meno del 5%), una riduzione del 20% della mortalità specifica si traduce in una riduzione dell'1% della mortalità generale. Questo significa che per mettere in evidenza una differenza in mortalità per tutte le cause dell’1% occorrerebbe un campione statistico enorme. Inoltre, gli autori dello studio hanno adottato un follow up da 10 a 15 anni per valutare la mortalità per tutte le cause in tutti i programmi di screening, mentre bisognerebbe adottare un follow up più lungo, di almeno 16 anni. A tal proposito, è stato dimostrato che per mettere in evidenza una riduzione del 2% della mortalità generale sarebbe necessario disporre di un campione di 600.000 donne seguite per più di 15 anni, condizioni che rendono praticamente impossibile la conduzione di uno studio randomizzato.
Una riflessione conclusiva sull’argomento e sull’efficacia dei programmi di screening.
In conclusione, la critica da fare allo studio e in qualche modo anche la rassicurazione sull’efficacia dei programmi di screening è che la proposta di superare eventuali bias nell'attribuzione delle cause di morte attraverso la mortalità per tutte le cause non è concretamente possibile. Quindi, gli autori della meta-analisi propongono un metodo sapendo che non è fattibile. Sebbene il problema che pongono su una possibile distorsione nell'attribuzione delle cause di morte e in particolare nei casi sovradiagnosticati è concettualmente giusto, non lo è il metodo con cui tentano di risolverlo perché di fatto non è possibile misurare una riduzione statisticamente significativa della mortalità generale. Infine, segnalo che è disponibile un articolo pubblicato ad aprile 2024 sulla rivista Frontiers About cancer screenings and saving lives: measuring the effects of cancer screening programs through meta-analyses - A comment to the meta-analysis “Estimated Lifetime Gained With Cancer Screening Tests” by Bretthauer et al. (2023), scritto da Fabrizio Stracci, docente all'Università di Perugia, e altri autori che propongono un commento alla meta-analisi di Bretthauer.
Per approfondire:
• l’articolo Estimated Lifetime Gained With Cancer Screening Tests. A Meta-Analysis of Randomized Clinical Trials di Bretthauer M, Wieszczy P, Løberg M et al. JAMA Intern Med. 2023;183(11):1196-1203. doi:10.1001/jamainternmed.2023.3798
• l’articolo About cancer screenings and saving lives: measuring the effects of cancer screening programs through meta-analyses - A comment to the meta-analysis “Estimated Lifetime Gained With Cancer Screening Tests” by Bretthauer et al. (2023) di Stracci F, Martinelli D, Anedda FM et al. Front. Public Health. 09 April 2024. Volume 12 – 2024. https://doi.org/10.3389/fpubh.2024.1376377
• l’articolo Testing Whether Cancer Screening Saves Lives. Implications for Randomized Clinical Trials of Multicancer Screening di Gilbert Welch H, Tanujit D. JAMA Intern Med. 2023;183(11):1255-1258. doi:10.1001/jamainternmed.2023.3781
• scarica la presentazione di Marco Zappa al XXVIII Convegno nazionale del Collegio italiano dei primari oncologi medici ospedalieri (Cipomo).
18 novembre 2024