TC spirale: in Europa i trial continuano
I risultati ottenuti negli Stati uniti dal National Lung Screening Trial (Nlst) sono molto interessanti, ma non giustificano l’interruzione degli studi in corso in Europa. Anzi, occorre trovare le migliori modalità per mettere in comune l’esperienza dei principali studi randomizzati e controllati attualmente in corso al di qua dell’Atlantico e, se possibile, stimolare la nascita di nuovi progetti dimostrativi a livello nazionale o europeo con finalità di ricerca.
Vanno invece scoraggiate iniziative isolate di offerta del test di screening , da parte di singole regioni o istituzioni, non sarebbero comunque in grado di confermare o smentire la riduzione del 20 per cento circa della mortalità per tumore al polmone, (e del 6,9 per cento di quella globale) osservata nel lavoro condotto dal National Cancer Institute e non fornirebbero le risposte ai quesiti ancora aperti che solo nell’ambito di studi controllati è possibile ottenere.
Sono queste, in sintesi, le conclusioni a cui sono giunti i massimi esperti italiani ed europei di screening del tumore del polmone riunitisi a Pisa il 3 e 4 marzo scorso, con l’intenzione di sottoscrivere un position statement dei trial randomizzati controllati europei e prossimamente un documento di consenso condiviso dalle principali società scientifiche interessate Italiane.
La scelta di interrompere il grande trial statunitense prima del previsto, a ottobre del 2010, aveva destato molto scalpore. Lo studio, che ha coinvolto oltre 53.000 attuali o ex forti fumatori, con un follow up di circa 8 anni, randomizzati in due gruppi sottoposti ogni anno rispettivamente a TC spirale a basso dosaggio o a una radiografia del torace, era stato infatti interrotto per aver raggiunto la prova di efficacia dell’intervento.
Gli esperti riuniti a Pisa, senza sottovalutare i dati finora resi noti e riproposti al Workshop Internazionale da Christine Berg, a capo dell’Early Detection Research Group della Division of Cancer prevention al National Cancer Institute di Bethesda, ne hanno però anche sottolineato i limiti.
Il primo, che si dovrebbe risolvere entro la metà di maggio con la pubblicazione su una rivista soggetta a peer review, è che finora si dispone solo di informazioni incomplete: mancano quindi elementi fondamentali per una valutazione dell’impatto che avrebbe un programma di screening come quello previsto dallo studio statunitense.
Il rischio: sovradiagnosi e falsi positivi
«La prima preoccupazione non è quella dei costi e delle difficoltà organizzative di sottoporre ogni anno a TC spirale tutti i forti fumatori» ha sottolineato Marco Zappa, direttore dell’Osservatorio nazionale screening, «aspetti che pure non possono essere ignorati, ma piuttosto la mancanza di certezze riguardo al tasso di falsi positivi e al peso della sovradiagnosi e degli effetti collaterali dello screening».
Per ridurre il rischio di falsi positivi e negativi, anche alla luce di una notevole discordanza iniziale di pareri nella lettura delle immagini, i radiologi coinvolti nello studio americano-- che non prevedeva appositi software per l’interpretazione degli esami -- sono stati sottoposti a un apposito training.
Ma i dati presentati a Pisa da Christine Berg sembrano confermare la fondatezza di chi teme la sovra diagnosi. Negli otto anni di follow up il numero di tumori trovati nel gruppo sottoposto a TC è infatti circa il doppio di quello del gruppo seguito con la radiografia, i quali a loro volta hanno comunque dimostrato una sopravvivenza media molto superiore a quella che di solito hanno i malati di cancro al polmone. Solo dopo la pubblicazione dell’analisi in corso si potrà quindi quantificare meglio quanti di questi pazienti hanno tratto davvero vantaggio dallo screening.
Falsi positivi e sovradiagnosi non comportano infatti solo costi economici per la società ma anche ansia e preoccupazione inutili nei pazienti, con rischi aggiuntivi legati all’accumulo di radiazioni, ad accertamenti diagnostici spesso invasivi e agli interventi chirurgici di resezione di un lobo o di tutto il polmone. Tutti fattori da soppesare bene e di cui anche i singoli che vogliano sottoporsi individualmente all’esame dovrebbero essere debitamente informati. E questo è impossibile allo stato attuale delle conoscenze in cui questi elementi non sono stati ancora quantificati con precisione.
«Ecco perché la ricerca deve andare avanti» ha raccomandato Ugo Pastorino, dell’Istituto dei tumori di Milano. «Non dimentichiamo poi che la sovra diagnosi non dipende solo dalla presenza di tumori cosiddetti “indolenti”» è intervenuto Eugenio Paci, direttore dell’Associazione italiana registri tumori, «ma anche dall’evenienza che una persona possa morire di un’altra malattia, per esempio di infarto, prima ancora che le venga diagnosticato un tumore fino ad allora silente. Una possibilità che in questo gruppo ad alto rischio anche per altre patologie, soprattutto cardiovascolari, è maggiore che tra le donne sottoposte a screening con la mammografia».
Risultati attesi dagli studi ancora in corso
Mettendo insieme tutti i partecipanti agli studi europei si raggiunge un campione di circa 32.000 persone, ma gli esperti non si nascondono che l’auspicabile pooling dei dati potrebbe presentare qualche difficoltà.
«Poiché nei nostri archivi sono conservate tutte le immagini» propone Mario Mascalchi, dell’Università di Firenze, «c’è però anche la possibilità di rivalutarle con criteri comuni».
Nel frattempo altri tipi di informazioni potranno essere raccolte dagli studi osservazionali in corso, come il COSMOS dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano e l’I-ELCAP di Roma, che sono stati presentati dai loro rispettivi coordinatori, Giulia Veronesi e Salvatore Giunta, insieme ai trial randomizzati e controllati in corso in Italia, nella giornata tutta italiana che ha preceduto il workshop internazionale.
Secondo gli esperti ci sono ancora molti aspetti da definire, prima di proporre uno screening a tappeto.
Prima di tutto, una volta quantificata l’entità di falsi positivi e sovradiagnosi, si dovrebbe cercare di limitarla individuando la popolazione a più alto rischio: gli statunitensi hanno usato il criterio di ultra 55enni che fumassero o avessero fumato fino a non più di 15 anni prima almeno 30 pacchetti-anno (cioè un pacchetto di sigarette al giorno per trent’anni o un valore equivalente).
Giulia Veronesi ha presentato un “calcolatore del rischio” e Olaide Raji, dell’Università di Liverpool, vari modelli di calcolo elaborati a livello internazionale, che tengono conto anche dell’esposizione all’asbesto e ad altri fattori occupazionali. Nella giornata italiana del convegno questo tema è stato approfondito da Alfonso Cristaudo dell’Università di Pisa, in relazione al possibile ruolo dello screening anche per l’indennizzo dei lavoratori esposti, per esempio all’amianto.
Sensibilità e specificità: possono ancora aumentare
Per restringere la popolazione da sottoporre a TC periodica e migliorare la predittività del test, in futuro si potrà ricorrere anche a nuovi strumenti diagnostici, come l’analisi dei gas respiratori e dei marcatori presenti nel sangue e in altri campioni biologici. A Pisa, oltre a Christine Berg, ne hanno parlato Francesca Carozzi dell’ISPO di Firenze e Gabriella Sozzi dell’Istituto dei Tumori di Milano. Quest’ultima ha descritto il suo recente studio, in cui ha dimostrato che la combinazione di 24 miRNA nel plasma definisce un profilo di rischio significativo non solo per lo sviluppo del tumore fino a due anni prima della comparsa del nodulo alla TC, ma dà indicazioni anche sul grado di aggressività che la malattia manifesterà. Con questi e altri sistemi, come la instabilità dei micro satelliti e la quantificazione del DNA plasmatico studiati nel lo studio ITALUNG, si potrebbe circoscrivere il gruppo di persone da sottoporre periodicamente alla TC, aumentando sensibilità e specificità della procedura.
Resta comunque da accertare anche il range di età ideale per lo screening, quale sia l’intervallo ottimale tra un’indagine e l’altra e quante ne occorrano a ognuno, anche alla luce del fenomeno ancora inspiegabile per il quale in alcuni studi si osserva un aumento dell’incidenza dal terzo accertamento in poi.
Non tutti poi concordano sul comportamento da seguire davanti a noduli sospetti.
Nell’ottica di un’implementazione a livello di sistema sanitario nazionale non si potrà poi prescindere da una valutazione dei rapporti tra costi e benefici dello screening.
«Ma soprattutto bisogna stare attenti che sottoporsi a questi esami periodici non rappresenti un alibi per i fumatori» raccomanda Armando Santoro, responsabile del Dipartimento di oncologia medica ed ematologia dell’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano. I dati presentati da Laura Carrozzi sull’intervento antifumo condotto a Pisa in associazione allo studio Italung non sembrano confermare questo timore: i soggetti sottoposti alla TC hanno aderito più degli altri al programma per smettere offerto anche al gruppo di controllo.
Gli effetti dello screening sull’abitudine al fumo, oltre che in generale sulle sue conseguenze psicosociali e sulla qualità di vita, vanno comunque accertati su più larga scala. «A una eventuale campagna di screening con la TC spirale dovrebbe corrisponderne una ancora più potente contro il fumo» raccomanda Santoro.
I tempi però, per ora, e almeno in Europa, non sembrano maturi per passare al setaccio tutti i fumatori. E anche negli Stati Uniti si va con i piedi di piombo: Robert Smith, a nome dell’American Cancer Society di Atlanta, ha dichiarato a Pisa che anche oltreoceano la valutazione è ancora in corso, ed eventuali nuove linee guida non saranno presentate prima di un anno, un anno e mezzo.
Pisa position statement
Proseguire gli studi randomizzati europei, implementare progetti multicentrici sulla valutazione dei programmi di screening, scoraggiare l’accesso spontaneo alla procedura di screening per il tumore polmonare e sottoporre un dettagliato resoconto informato ai soggetti che lo vogliono effettuare: sono alcune delle conclusioni del consenso condiviso degli investigatori dei trails europei, presenti nel documento Pisa position statement (pdf 140 kb).