A cura di Eugenio Paci
14 dicembre 2015 - Il 20 Ottobre è una data che rimarrà nella memoria di molti. La pubblicazione su Jama Internal Medicine delle nuove Linee guida sullo screening per il tumore della mammella da parte della American Cancer Society rappresenta un cambiamento significativo e si avvia a sciogliere molti dei nodi della durissima e ormai annosa controversia sullo screening mammografico, ponendo allo stesso tempo le basi per nuovi sviluppi e approfondimenti che richiedono una nuova stagione di ricerca e pratica. Si esce cosi, speriamo, dallo stallo in cui da anni, negli Stati Uniti e in parte d’Europa (Gran Bretagna in particolare), la questione si era impantanata.
Credo che, come europei, dobbiamo soprattutto dire che al scelta fatta negli anni 80 (a partire dal Rapporto Forrest del governo inglese nel 1985) di partire dall’età di 50 anni e proseguire fino a 69 risulta confermata come una decisione corretta. Il limite dell’efficacia della mammografia di screening nelle donne in età pre-menopausale era apparsa in tutta la sua chiarezza ai gruppi scientifici europei sin dalle prime pubblicazioni dei dati degli studi randomizzati, che erano stati alla base dell’avvio dei programmi di screening di popolazione in Europa. Una politica che è stata recentemente riconfermata dal Codice europeo contro il cancro, che ha riconosciuto i programmi organizzati di screening come validi strumenti per la prevenzione.
Nel 1997 la Consensus Conference del National Cancer Institute americano vide una delle più importanti risse scientifiche mai avvenute proprio sulla questione dell’età di screening. E gli europei, con le lineeguida europee non si tirarono indietro e confermarono la loro scelta di rivolgersi alle donne sopra i 50 e la decisione di porre un limite (usualmente i 70 anni).
Le novità introdotte dal documento
Il nuovo documento dell’American Cancer Society ha il pregio di muovere il dibattito in avanti e si inserisce positivamente in un momento di complessiva riflessione negli Stati Uniti dell’offerta di prestazioni (comunque oggetto di molti contrasti) modificando nel profondo una discussione aperta anche in Europa e in Italia. L’Osservatorio nazionale screening ha da tempo proposto, in un documento di indirizzo, l’estensione dello screening organizzato a 45 anni di età e l’innalzamento a 74 anni. In questi termini le posizioni tra i due Oceani si avvicinano molto. Bene hanno fatto quelle Regioni italiane che, scegliendo quella presa di posizione hanno proceduto nell’offerta a una fascia più ampia di popolazione dello screening mammografico. Sarebbe necessaria simile chiarezza e decisione nell’indirizzo da parte del ministero della Salute.
Sicuramente la diversa scansione per l’età proposta, che ruota intorno all’ identificazione di un decennio critico (45-54) pone in evidenza la necessità di sviluppare la ricerca per uno studio del rischio individuale che sia attento specialmente all’età peri- premenopausale e (non affrontata ancora da ACS) per le donne giovani ad alto rischio.
In questi termini assume rilievo la questione della densità mammografica e lo studio di biomarker come indicatori di rischio. Tutti temi su cui anche in Europa e in Italia sono stati avviati studi e valutazioni. Un campo di ricerca e trasferimento nella pratica che richiede di essere sostenuta e finanziata, anche riducendo i larghi margini di inappropriatezza nell’uso di prestazioni di tipo preventivo in senologia.
Se a questo si aggiungono le nuove opportunità che offre un intervento per la riduzione del rischio centrata sulla prevenzione primaria, attraverso un’azione mirata a promuovere un migliore stile di vita, si può dire che si sta aprendo una stagione nuova di ricerca e pratica per la prevenzione del tumore della mammella in cui i programmi di screening europei e quello italiano in particolare hanno la possibilità di svolgere un grande ruolo. È evidente che la nuova posizione dell’American Cancer Society e le conseguenze che potrebbe avere negli Stati Uniti favoriscono questo sviluppo.
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